Solo un mese fa, la direzione di Harvard riteneva che l’affare sul salario minimo fosse definitivamente chiusa. In effetti, aveva richiesto uno studio i cui risultati, pubblicati l’anno scorso, prevedevano, strana coincidenza, di non aumentare gli stipendi di un gran numero dei membri del personale di manutenzione e ristorazione: non era previsto il superamento della soglia di povertà, ma solo un leggero rialzo dei vantaggi non-salariali.
Per Neil Rudenstine, il presidente dell’università, il dibattito era concluso.
Quando una quarantina di studenti fece irruzione nel suo ufficio di Massachusetts Hall, richiedendo per tutto il personale un salario all’ora di 10,25 dollari ed una copertura medica, egli rispose in sostanza: “Noi non discutiamo con i terroristi”.
Alla fine ha dovuto rassegnarsi. L’8 maggio, i manifestanti, dopo avere ottenuto delle sostanziali concessioni dall’amministrazione, hanno abbandonato l’edificio fra gli applausi di un centinaio di simpatizzanti. L’occupazione dei locali, durata tre settimane ed appoggiata dagli abitanti di Boston, ha attirato l’attenzione dei media nazionali sulle condizioni di che è sfruttato dall’Università più ricca del mondo, mettendo l’ingiustizia economica al centro dei dibattiti del campus.
L’Università, anche se non ha capitolato completamente, ha ceduto in ogni caso un po’ di terreno alle richieste degli studenti. Così ha messo in atto una moratoria dell’appalto e studierà rapidamente la questione dell’assicurazione malattia.
Si è anche impegnata ad accelerare la negoziazione dei contratti di lavoro con gli impiegati dell’accoglienza e del ristoro ed anche con il sindacato internazionale degli impiegati di servizio (SEIU).
L’Università spera che l’aumento dello stipendio dei guardiani, ottenuto in seguito a queste negoziazioni, sia retroattivo, tenendo conto che l’aumento previsto è considerato effettivo dalla fine del sit-in.
L’accordo non fissa immediatamente un salario minimo comune per tutti gli impiegati. Una commissione, presieduta dall’Università ma nella quale impiegati e studenti saranno fortemente rappresentati, determinerà e proporrà collegialmente un salario minimo.
Questa decisione lascia ad Harvard un certo margine di manovra. Ma Amy Offner, una dei leader della campagna, ha sottolineato: ” Questo accordo permetterà di istituire un salario minimo entro sei mesi, al massimo un anno, se tutto va bene. E noi faremo in modo che vada tutto bene.”
La campagna ne ha certamente il potere. Il successo del sit-in si spiega con la grande mobilitazione di comunità molto distanti dalla base studentesca del movimento. I lavoratori hanno effettivamente fatto appello a delle manifestazioni massicce, i vicini dell’Università sono venuti a dormire sotto l’enorme tendone che era stato piantato nell’Harvard Yard ed una nuova ondata di studenti è scesa in campo, cosa che sembrava impensabile in questa fine del trimestre.
“Una volta che il movimento si è innescato, constata Amy Offner, la gente è arrivata da ogni parte per aiutarci ed hanno occupato i locali anche per quindici ore al giorno”.
Avendo servito da vetrina per la crescente mobilitazione in favore del salario minimo su scala nazionale, il sit-in costituisce un esempio chiaro del modo in cui le forze che contrastano la mondializzazione del capitale durante i grandi incontri internazionali sul commercio possono incoraggiare delle campagne che hanno gli stessi obiettivi a livello locale. E’ stato infatti il tipo di coalizione che si è formato attorno alla questione del salario minimo che ha dato alla manifestazione di Harvard la sua dimensione in seno al movimento sociale. Il sit-in testimonia la vitalità di un accordo univoco che si è venuto a formare negli ultimi anni, che raggruppa studenti e lavoratori dipendenti.
I sindacati hanno preso contatto con gli studenti, dando il via al ritorno sulla scena dei movimenti sociali sotto la direzione di John Sweeney, il segretario nazionale dell’AFL-CIO (Federazione dei sindacati indipendenti americani). Attraverso il suo “Istituto di Organizzazione”, l’AFL-CIO ha reclutato una nuova generazione di organizzatori. Dal 1996, l’Istituto di Organizzazione ha attratto migliaia di militanti studenteschi e di giovani salariati, in occasione dell’università estiva. UNITE, il sindacato dei lavoratori dell’abbigliamento, ha messo un grande impegno nella recente crociata contro gli sweatshops (laboratori appartenenti a società transnazionali, nei quali le condizioni di lavoro sono prossime alla schiavitù), apportando così un sostegno ufficiale e permettendo al movimento di mettersi in evidenza sulla scena pubblica.
Ma l’occupazione dei locali del campus resta il momento in cui la partecipazione è stata più fruttuosa. Nel corso degli ultimi due anni, le campagne contro gli sweatshops hanno dato luogo a dei sit-in nelle Università del Michigan, dell’Iowa, del Kentucky. L’anno scorso, un’occupazione di diciassette giorni dei locali dell’Università John Hopkins, a Washington, per rivendicare un aumento dei salari del personale di manutenzione faceva presagire quella della Massachusetts Hall.
La campagna per il salario minimo di Harvard è stata lanciata da un gruppo di studenti, il PSLM, il Progressive Student Labour Movement (Movimento studentesco operaio progressista), un’organizzazione che deriva direttamente dal movimento operaio.
Molti dei membri che hanno fondato il gruppo nel 1997 insieme a tre degli studenti che hanno occupato l’amministrazione durante il sit-in, avevano partecipato all’università estiva dei sindacati.
Se Harvard rappresenta una delle grandi offensive sul tema del salario minimo promosso dalla mobilitazione degli studenti, i sindacati avevano già lanciato l’azione da molto tempo, riportando la prima importante vittoria nel 1994 a Baltimora. I militanti del settore pubblico e privato hanno effettivamente ottenuto l’aumento dei salari più bassi nei contratti pubblici. Da questa data, più dicinquanta misure relative al salario minimo sono state adottate in diverse città degli Stati Uniti. Delle coalizioni progressiste si battono attualmente per l’adozione di decreti dello stesso tipo in 75 altre città.
Anche il supporto dato al mondo studentesco ed alla lotta per il salario minimo fanno parte della strategia di un movimento operaio rivitalizzato, con l’intento di raggiungere un pubblico progressista più ampio. Bruce Nissen, Direttore del Programma del Centro di Ricerca sul lavoro salariato (Università internazionale della Florida) e veterano di numerose lotte per il salario minimo, dichiara che “per l’AFL-CIO, questo fa parte della strategia di costruzione di una presenza nettamente più forte dei sindacati nella società: creare un movimento di lavoratori che sia utile al benessere generale.”
Per questa ragione, in occasione del sit-in di Harvard, l’AFL-CIO ha inviato sul posto i suoi migliori negoziatori al fine di ottenere un accordo con l’amministrazione dell’Università. Questo spiega anche perché il Presidente dell’AFL-CIO John Sweeney era tra i VIP presenti alla riunione di massa della settimana scorsa, e perché i leaders operai sono tornati al campus insieme ai contestatari che lasciavano la Massachusetts Hall.
Il grandissimo entusiasmo delle organizzazioni operaie lascia percepire solo in lontananza l’impegno indefesso dei sindacati locali nelle azioni comuni. Nel caso di Harvard, dozzine di lavoratori del campus hanno preso la parola durante le manifestazioni ed hanno rilasciato testimonianze alla stampa. I membri del sindacati Horeca HERE (Hotels and Resaurants Employees Union) hanno promesso pubblicamente di non accettare nessun accordo che includa una censura di ordine disciplinare contro gli studenti.
Benché le misure in favore del salario minimo prendessero di mira in principio i governi locali, delle nuove leggi tendono a coinvolgere una vasta gamma di appaltatori ed imprese che ricevono degli alleggerimenti fiscali. Le azioni degli studenti alla John Hopkins e ad Harvard sono state eccezionali per l’estensione della lotta agli impiegati individuali. Harvard, una Università che vale quasi 20 miliardi di dollari, si è rivelata un bersaglio ben scelto: gli studenti hanno attirato i media mettendo in evidenza i contrasti tra il mito di questa Università ed il trattamento miserabile che viene riservato ai suoi impiegati di bassa categoria.
Ugualmente le proteste contro la mondializzazione avevano dato luogo ad improbabili alleanze “rosso-verdi” tra lavoratori e ambientalisti, le campagne per il salario minimo hanno riunito delle coalizioni impressionanti a livello americano. L’Associazione per la Riforma Comune Immediata (ACORN), il Sindacato Internazionale degli Impiegati nel settore dei Servizi (SEIU), e la Coalizione per i Senza-riparo hanno condotto la lotta per il salario minimo a Chicago; i lavoratori del settore alberghiero, i verdi e gli attivisti per i diritti degli affittuari si sono riuniti a Santa Monica; dei gruppi interconfessionali, le Pantere Grigie, i beneficiari di servizi sociali, degli avvocati del terzo partito (movimento progressista) si sono riuniti altrove.
Alcune campagne a favore del salario minimo hanno iniziato impiegando la disobbedienza civile e le tattiche di azione di massa per indurre un cambiamento politico. Oltre ai sit-in universitari, la campagna di Chicago ha mobilitato delle folle impressionanti di 15.000 persone per i cortei. E QUI dei lavoratori sono stati arrestati per aver bloccato il traffico durante la campagna di Santa Monica.
Il sit-in di Harvard avrà contribuito a fare del campus uno dei luoghi più all’avanguardia dell’espansione del movimento per il salario minimo. Le alleanze studenti-lavoratori si sono ulteriormente rafforzate dopo manifestazioni di massa come quella di Seattle, dove i due gruppi si sono presentati insieme nelle strade. L’interazione di questi due gruppi è molto significativa, in particolare per le attività anti-mondializzazione che cercano di affermarsi nelle campagne locali.
In gran parte il successo delle contestazioni in occasione dei grandi sommet economici può essere misurato in base al modo in cui le persone, dinamizzate ed ispirate dagli avvenimenti a grande scala, si impegnano nelle lotte contro gli abusi che le imprese commettono “nel loro cortile”. Gli organizzatori incoraggiano le azioni su temi come quello degli sweatshops, l’agricoltura biologica, le riforme dell’assistenza sociale, l’ingrandimento delle prigioni sovraffollate e la smilitarizzazione. Facendo questo si cerca di stabilire un legame tra la società civile e la politica internazionale.
Il salario minimo, trattandosi di una questione-chiave, è un altro esempio di un tema che favorisce questo legame. Gli studenti, rendendo pubbliche le ineguaglianze stridenti presenti nei loro campus, sempre più legati al mondo degli affari, rinforzando l’affermazione che i salari da fame sono inaccettabili, nel loro paese o all’estero. Le Università che appaltano i contratti di manutenzione e di sicurezza a delle imprese che pagano degli stipendi da miseria, obbediscono alla stessa logica che ha spinto Gap a far fabbricare i suoi indumenti negli sweatshops di Salvador. Opponendosi a questa ingiustizia il movimento per il salario minimo, attualmente in piena crescita, fa parte integrante della resistenza di base alla “corsa verso il basso” della mondializzazione, dove gli stipendi dei dirigenti arrivano a cifre astronomiche mentre coloro che occupano i livelli più bassi sul mercato del lavoro fanno fatica a sopravvivere.
Considerate nel loro insieme, le misure adottate per il salario minimo rappresentano una delle vittorie più significative dei movimenti progressisti di questo ultimo decennio. Le azioni sono programmatiche, migliorando concretamente la situazione dei poveri, e visionarie, suggerendo quello che le coalizioni di sinistra possono realizzare quando diversi gruppi si uniscono modificando il rapporto di forza.
Non è stata la provvidenza divina che ha fatto realizzare ai dirigenti dell’Università che è giusto remunerare in modo decente i propri impiegati. E’ il potere. La disobbedienza civile degli studenti li ha forzati a riconsiderare il problema del salario minimo e la sorprendente solidarietà della società ha costretto l’amministrazione a modificare la sua posizione, altre volte inflessibile.
Una cosa è certa: la lezione è stata imparata anche dagli studenti degli altri campus che, con la comunità ed i loro alleati operai, cercheranno di trasformare un sit-in incoronato dal successo in una sfida permanente contro l’ingiustizia economica.