Quando si pensa al Costa Rica, di solito non s’immaginano pozzi petroliferi al largo delle sue spiagge né miniere che squarciano le montagne avvolte dalle nuvole. Eppure i panorami e la straordinaria biodiversità del paese sono minacciati dall’industria estrattiva e dai trattati commerciali internazionali. Un paio d’anni fa sembrava che il Costa Rica potesse stare tranquillo. Nel maggio 2002 – dopo un’imponente mobilitazione ambientalista – il presidente Abel Pacheco aveva annunciato una moratoria sulle esplorazioni petrolifere e le miniere a cielo aperto. I legislatori si erano messi al lavoro per dare legittimità all’ordine del governo e abrogare le leggi che mettono il paese nelle mani dell’industria estrattiva.
Ma c’è almeno una multinazionale che non ha gradito questi sviluppi: è la Harken Energy, una compagnia petrolifera texana che ha stretti legami con il presidente degli Stati Uniti, George W. Bush. Nel 1994 il parlamento del Costa Rica aveva approvato una legge sugli idrocarburi – voluta dalla Banca mondiale e dal Fondo monetario internazionale – che dava alle industrie straniere la possibilità di ottenere concessioni per le esplorazioni petrolifere. La Mkj Xploration, un’azienda della Louisiana, aveva vinto l’appalto per trivellare lungo la costa caraibica del paese, ma aveva venduto le sue concessioni alla Harken Energy.
Abitanti del posto, pescatori, indigeni e ambientalisti avevano saputo dai giornali la notizia dell’accordo. Ma il fatto che nessuno li avesse consultati era solo il primo dei numerosi problemi del progetto. La trivellazione off-shore avrebbe danneggiato le barriere coralline e le paludi di mangrovie, minacciando la fauna marina già in pericolo. Nella lunga battaglia contro l’accordo, la popolazione locale ha avuto il sostegno di una commissione nazionale che ha stabilito l’inammissibilità del progetto della Harken in base alle leggi del paese sull’impatto ambientale. Le commissione ha enumerato oltre cinquanta ragioni per rifiutare il piano della compagnia petrolifera. La Harken si è infuriata è ha chiesto un risarcimento di 57 miliardi di dollari.
Non è un refuso. La Harken ha chiesto davvero 57 miliardi di dollari, una cifra che a suo avviso rappresenta il totale dei profitti mancati a causa dell’accordo naufragato. Il prodotto interno lordo annuale del Costa Rica è di circa 17 miliardi di dollari e il bilancio annuale del governo è di cinque miliardi. Alla fine del settembre 2003, subito dopo che la Banca mondiale ha notificato al governo del Costa Rica la denuncia della Harken, Pacheco ha annunciato che il paese non avrebbe accettato un arbitrato internazionale. La sede legittima della controversia, secondo il presidente costaricano, era la magistratura locale. Qualche giorno dopo la Harken ha ritirato la denuncia e ha cercato di giungere a un accordo stragiudiziale.
Arriva il Cafta
Probabilmente, però, il Costa Rica e la Harken non sono riusciti ad accordarsi sull’ammontare della transazione, e le trattative sono naufragate. Ma non è finita. L’amministrazione Bush sta proponendo un accordo che minaccia di trasformare la causa della Harken in qualcosa di più di un’intricata sfida legale. Si tratta del Trattato di libero commercio tra Stati Uniti e Centroamerica (Cafta).
A dicembre gli Stati Uniti hanno concluso i negoziati con Guatemala, Honduras, El Salvador e Nicaragua sul trattato di libero mercato nella regione. Il Costa Rica, che aveva esitato perché preoccupato dalla privatizzazione delle industrie pubbliche, è entrato nell’accordo a gennaio.
Per gli avversari del Cafta, il caso della Harken è l’esempio di come le aziende usino gli accordi internazionali per costringere i paesi arinunciare alla difesa dell’ambiente. La tutela degli investitori del Cafta permette alle aziende di rivolgersi direttamente ai tribunali internazionali. Secondo il nuovo accordo, il Costa Rica non avrebbe più la facoltà di contrastare i tentativi di aggirare i suoi tribunali. La minaccia di una causa da diversi miliardi di dollari è sufficiente per convincere molti paesi in via di sviluppo a rinunciare all’attuazione delle proprie leggi ambientali.